Truffa dell’addebito diretto (RID) tramite IBAN: come funziona

La truffa dell’addebito diretto SEPA (l’ex RID), sfruttando indebitamente l’IBAN e la firma di un ignaro utente, sta coinvolgendo sempre più persone anche sul mercato delle auto usate tra privati. È quanto dimostrano diversi casi di cronaca, così come confermato dalla Polizia Postale: sempre più persone scovano degli ammanchi sul conto corrente, senza mai aver autorizzato pagamenti ricorrenti. Ma come avviene il raggiro?

Come spesso accade, la truffa si avvale di tecniche molto raffinate e, soprattutto, della fiducia conquistata dai malintenzionati ai danni di ignari utenti online. Per questa ragione, per evitare di perdere del denaro, è sempre utile tutelare la compravendita di mezzi usati con piattaforme che possano proteggere il pagamento, come ad esempio Owny.

La truffa dell’addebito diretto SEPA: come funziona

Da qualche anno a questa parte, i titolari di un conto corrente possono predisporre il pagamento automatico sul conto corrente di numerosi servizi, grazie all’addebito diretto SEPA (ex RID). Questo servizio permette, tramite pre-autorizzazione, di addebitare automaticamente delle somme a scadenza regolare: il sistema, ad esempio, è quello frequentemente scelto per permettere ai fornitori di energia di scalare le bollette dal proprio conto.

Purtroppo, i truffatori hanno trovato il modo di sfruttare questo sistema indebitamente e, ovviamente, a loro vantaggio. Ma come funziona il raggiro, all’interno della compravendita di un veicolo tra privati?

Di norma, per poter autorizzare un addebito automatico, è necessario essere in possesso dell’IBAN relativo al conto corrente che si vorrà utilizzare per scalare la somma e, ancora, la firma dell'intestatario per la pre-autorizzazione del servizio. I truffatori riescono facilmente a risalire a questi dati, ad esempio fingendosi degli acquirenti interessati all’acquisto di un’auto:

  • il finto acquirente chiede al venditore l’IBAN, spiegando di voler effettuare il versamento della caparra, o dell’intera somma concordata, per il veicolo;
  • con una scusa, acquisisce la firma dell'intestatario del conto, ad esempio chiedendo di firmare un accordo scritto preliminare per la vendita dell’auto.

Recuperati questi dati, il finto compratore si dà alla macchia e il venditore, in tutta ingenuità, pensa semplicemente che la controparte abbia avuto un ripensamento sull’acquisto del veicolo. In realtà, dopo poco tempo la vittima nota degli ammanchi sul conto corrente:

  • a volte si tratta di somme piccole, come poche decine di euro, che si ripetono regolarmente nel tempo;
  • altre si tratta invece di una somma corposa, scalata dal conto corrente in una volta sola.

Non sempre ci si accorge della truffa

Una delle caratteristiche peculiari di questo raggiro è che, spesso, le vittime non si accorgono di essere cadute in un tranello. Se la somma sottratta è corposa, balzerà all’occhio immediatamente al primo controllo dell’estratto conto. Tuttavia, sempre più malintenzionati decidono di scalare piccole somme, ripetutamente nel tempo, affinché passino inosservate.

Quando l’utente accede al proprio estratto conto, vedendo addebiti automatici di poche decine di euro, li associa di primo acchito a qualche servizio in abbonamento sottoscritto in passato, come l’addebito per una piattaforma di streaming video o musicale. E così, senza un controllo approfondito, non ci presta granché attenzione. È solo quando gli addebiti diventano più frequenti, ad esempio uno o più al giorno, che l’intestatario del conto inizia a insospettirsi.

Cosa si può fare se si è caduti nella truffa dell’addebito diretto

Ma cosa fare, se ci si fosse accorti di addebiti diretti non autorizzati sul proprio conto corrente? Come facile intuire, il primo passaggio è quello di allertare il proprio istituto di credito, richiedendo che venga revocato l’addebito diretto. Spesso le banche possono anche avviare una procedura di richiesta di rientro del denaro indebitamente sottratto, ma le chances di recuperarlo in modo effettivo non sono elevate. Dopodiché, ci si deve rivolgere alle Forze dell’Ordine per sporgere denuncia.

Una volta che i truffatori hanno acquisito IBAN e firma, però, il problema può protrarsi per diverso tempo. I malintenzionati provvedono ad addebitare più di un costo sul conto corrente dell’ignaro venditore, spesso approfittando di abbonamenti fittizi che sembrano veri o, ancora, effettuando il prelievo da diversi conti e con nominativi altrettanto differenti. In altre parole, rimossa l’autorizzazione per un RID, è probabile che pochi giorni dopo riparta sotto altre spoglie.

È quindi sempre meglio non comunicare il proprio IBAN, e consegnare la propria firma, a sconosciuti, anche all’interno di una compravendita di veicoli tra privati. In alternativa, si possono utilizzare piattaforme come Owny, che permettono di proteggere dalle truffe sia il compratore che il venditore, garantendo il massimo della sicurezza per i propri dati.


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